- Le " vittime dimenticate " del regime nazista -

Sulla bibliografia relativa alla deportazione e allo sterminio. Un percorso critico
di Claudio Vercelli


Indice


Sulla bibliografia relativa alla deportazione e allo sterminio. Un percorso critico

    Negli ultimi anni la produzione di opere riguardanti l’antisemitismo nazifascista e le pratiche sterminazioniste che coinvolsero le comunità ebraiche tra il 1941 e il 1945 ha conosciuto un incremento ragguardevole. Parimenti può dirsi dei lavori concernenti le persecuzioni e le deportazioni di quelle vittime – un vero e proprio universo a sé – che pur non essendo ebree subirono i rigori della violenza totalitaria durante gli anni di Hitler, Mussolini e dei fascismi europei: politici, omosessuali, testimoni di Geova, i cosiddetti “asociali” e così via. La ragione di ciò è da attribuirsi alla rinnovata attenzione con la quale l’intera vicenda dell’“olocausto” – termine improprio, di natura teologica, mutuato dal dibattito statunitense in materia – o, più propriamente, del genocidio degli ebrei o shoah (parola ebraica da tradursi come “catastrofe” e che richiama l’idea genocidiaria), così come delle deportazioni, è stata considerata, alla luce soprattutto di nuove riflessione storiografiche e sulla scorta di una inedita attenzione collettiva. A partire dagli anni ’60, infatti, il processo ad Adolf Eichmann (uno dei più importanti esecutori del genocidio) e, in successione, la polarizzazione dell’attenzione collettiva sul tema e la sua popolarizzazione, soprattutto negli Stati Uniti, hanno incentivato le ricerche e le riflessioni in materia. La questione del come, ma anche e soprattutto del perché, un evento di tali dimensioni – materiali e morali – sia potuto avvenire, coinvolgendo un paese come la Germania, centro della cultura europea e sede della modernizzazione socioeconomica, continua ad interessare ampi settori degli studi di scienze sociali, non solo nel campo storico, beninteso, e a sollecitare l’attenzione collettiva.

    Di seguito si fornisce una bibliografia ragionata, non esaustiva, di avviamento allo studio dell’argomento, fruibile dal grande pubblico ma congruente anche con un indirizzo didattico e pedagogico che è fatto proprio da chi lo inserisce in un programma di storia contemporanea o, più in generale, di scienze sociali. Particolare cura è offerta alla vicenda dei “triangoli viola”. Sono escluse dal repertorio le opere di memorialistica o di testimonianza personale, con l’eccezione dei punti D e E.

 

a.    Un consiglio e cinque testi per iniziare

    Il consiglio è semplice ma non scontato: poiché molti ne parlano, spesso non con la sufficiente competenza, è bene cercare di costruirsi un piccolo percorso personale di comprensione, basato sul confronto delle fonti e sulla comparazione dei giudizi. Non è facile ma neanche impossibile. Le deportazioni, così come lo stesso sterminio degli ebrei d’Europa, si presentano all’osservatore esterno o come un processo lineare o, antiteticamente, come un evento del tutto incomprensibile. Sono due impressioni lecite in chi non conosce a fondo certi aspetti non solo della storia contemporanea ma anche dell’animo umano, ma entrambe errate. Le vicende di cui parliamo non vanno solo studiate ma soprattutto capite. Poiché ci parlano di donne e uomini che furono stritolati da una macchina criminale e da ideologie assassine. Ma, per l’appunto, su quegli esseri umani si deve concentrare la nostra attenzione, non su oggetti o numeri. E ciò implica un certo grado di immedesimazione emotiva negli stessi, senza la quale il tutto è destinato a rimanere nell’opacità della falsa considerazione o nella lontananza del rifiuto. Quel che ci appare troppo grande o lo riduciamo al punto da annullarlo o lo rigettiamo come indecifrabile. Eppure le deportazioni furono il prodotto dell’azione di alcuni individui contro altri, non un evento estraneo alla volontà dell’uomo. Ragion per cui è bene non spaventarsi dinanzi all’impresa che si va ad iniziare ed armarsi di buona volontà e di qualche metodo di lettura, oltreché di obiettivi. Il metodo, lo si ripete ancora una volta, è quello dell’uso e della comprensione critica delle fonti attraverso il loro confronto; gli obiettivi sono quelli connessi alla elaborazione del passato non come epoca a sé bensì come orizzonte di senso per il nostro presente.

    Detto questo, si può procedere ad uno spoglio del materiale a nostra disposizione.

       

 b.    Testi propedeutici, riassuntivi e a taglio didattico

 I testi collocati in rassegna si caratterizzano per la natura espositiva e per l’interna organizzazione del materiale, volti ad agevolarne un utilizzo a fini didattici e/o formativi, sia da parte del docente che degli stessi studenti così come dei lettori comuni. Da rilevare che nessun intervento sistematico e continuativo sull’esplicazione della natura delle pratiche sterminazioniste nel ‘900 può esulare dallo svolgimento di un programma sulla storia contemporanea oltreché sui lineamenti fondamentali dell’economia e del diritto nelle società moderne. E questo vale all’interno delle scuole come al di fuori di esse, tra il grande pubblico. A tale riguardo si consiglia, tra i diversi manuali, la ponderosa opera di Andrea Graziosi, Guerra e rivoluzione in Europa 1905-1956, il Mulino, Bologna 2002.

Ad esso si possono proficuamente affiancare le seguenti opere:

- Luigi Meneghello, Promemoria. Il massacro degli ebrei d’Europa, il Mulino, Bologna 1994.

- Enzo Collotti, Hitler e il nazismo, Giunti Editore, “Collana XX secolo”, Firenze 1996 così come dello stesso autore Fascismo, fascismi, Sansoni Editore, Firenze 1989 con successive riedizioni.

Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Hoess, Einaudi Editore, più edizioni, è il diario di prigionia che il comandante del campo tenne durante il processo, conclusosi con la sua condanna a morte. Va sottolineato il fatto che una parte delle affermazioni ivi contenute non sono del tutto rispondenti al vero, in parte per le condizioni coattive cui Hoess era obbligato ma anche e soprattutto per la personalità dell’estensore, vocato a tratti megalomanici. Va quindi affrontato con una certa cura e con il supporto di altre letture, in chiave comparativistica. Rimane comunque una testimonianza pressoché unica nel suo genere.

Philippe Burrin, Hitler e gli ebrei. Genesi di un genocidio, Marietti Editore, Genova 1994 e Leon Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Einaudi Editore, Collana “Piccola Biblioteca”, diverse e ripetute edizioni, sono divenuti oramai due testi canonici, di inquadramento critico, del fenomeno persecutorio, così come il volume di Michael R. Marrus, L’Olocausto nella storia, il Mulino, Bologna 1994, una ricognizione sulle modalità e i criteri di ricezione ed elaborazione, nell’ambito dei processi storiografici, dello sterminio degli ebrei.

Si diceva che le opere presenti sul mercato sono molte ma diseguali, nei contenuti come nel rigore. Una scelta di qualità induce a preferire titoli come quelli di:

- Arno Mayer, Soluzione finale. Lo sterminio degli ebrei nella storia europea, Mondadori Editore, Milano 1990 e successive edizioni.

- Alberto Nirenstajn, E’ successo cinquant’anni fa. Lo sterminio di sei milioni di ebrei, La Nuova Italia, Firenze 1993.

- Susan Zuccotti, L’Olocausto in Italia, Mondadori Editore, Milano 1988 è il lavoro che meglio si concentra sulle persecuzioni contro gli ebrei nel  nostro paese.

Di netta impostazione scolastica è l’opera di F.M. Feltri, Il nazionalsocialismo e lo sterminio degli ebrei. Lezioni, documenti, bibliografia, La Giuntina Editore, Firenze 1995: scritto da un didatta per operatori del settore e docenti di scuola media superiore è un manuale per l’interpretazione e l’adozione di fonti di e sulla deportazione.

Sulla falsariga del lavoro precedente è l’opera collettanea a cura di Enzo Traverso, Insegnare Auschwitz, a cura dell’IRRSAE Piemonte per i tipi della Bollati Boringhieri, Torino 1992. Parimenti, in quanto prodotto di esigenze esplicative di origine didattica, convergenti su di un’unica linea di elaborazione, si segnala di A.A.V.V., Pensare Auschwitz, Tranchida, Milano 1995. Dello stesso Traverso si indicano ancora Gli ebrei e la Germania. Auschwitz e la “simbiosi ebraico-tedesca, il Mulino Editore, Bologna 1994; per la comprensione del quadro ideologico all’interno del quale si articola il dispositivo di repressione Il totalitarismo, Bruno Mondadori Editore, Milano 2002; La violenza nazista. Una genealogia, il Mulino, Bologna 2002 e, insieme ad altri autori e per la cura di Marcello Flores, Nazismo, fascismo, comunismo, Bruno Mondadori, Milano 2002, opera dal taglio dichiaratamente comparativistico che si interroga su ricorrenze e specificità di tre esperienze reali di totalitarismo.

Più in generale, sempre sul tema della didattica si sofferma Raffaele Mantegazza nel suo L’odore del fumo. Auschwitz e la pedagogia dell’annientamento, Città Aperta, Enna 2001 così come Andrea Molesini con Nero latte dell’alba. Libri che raccontano lo sterminio, Mondadori, Milano 2001, che raccoglie schede ad uso pedagogico o comunque espositivo.

Puramente narrativo, di notevole qualità iconografica è il volume di A. Grynberg Shoah. Gli ebrei e la catastrofe Universale Electa-Gallimard, Milano 1995.

Bice Migliau e Franca Tagliacozzo nel loro Gli ebrei nella storia e nella società contemporanea, La Nuova Italia, Firenze 1994 inquadrano lo sterminio nella più generale vicenda delle comunità ebraiche tra il XIX e il XX secolo. Si tratta di un manuale ad uso prettamente scolastico, scritto, organizzato e strutturato come un tradizionale manuale di storia. I singoli capitoli che lo compongono possono essere utilizzati separatamente. Apprezzabile anche sul versante della storia del sionismo, della nascita dello stato d’Israele e per la panoramica che offre riguardo alle vicende mediorientali, è quindi uno strumento polivalente.

Più in generale la rivista trimestrale Quaderni di Erodoto, Bruno Mondadori Editore, reperibile presso le maggiori biblioteche civiche e nelle più importanti librerie delle grandi città, offre articoli e saggi orientati alla riflessione su questi argomenti e affini.

I testi di Primo Levi, Se questo è un uomo e La tregua, tutti editati da Einaudi e facilmente reperibili, rimangono ineguagliati nella loro cristallinità di espressione e chiarezza di giudizio. Sono le opere da cui partire per realizzare riflessioni di molteplice natura e contenuto. Ad esse si può affiancare di Jean Amery, Intellettuale ad Auschwitz, Bollati Boringhieri, Torino 1987.

  

c.     Volumi di ricerca e di analisi dettagliata

 Raoul Hilberg nelle sue monumentali opere La distruzione degli ebrei d’Europa, Einaudi Editore, più edizioni di cui una in economica nella collana “Tascabili” e Carnefici, vittime, spettatori. La persecuzione degli ebrei 1933-1945, Mondadori, Milano 1992, ora anche negli “Oscar” ha descritto per filo e per segno i diversi passaggi che si collocano all’origine dello sterminio.

Altrettanto famoso e rigoroso, ma non più ristampata in lingua italiana è il libro di G. Reitlinger La soluzione finale. Il tentativo di sterminio degli ebrei d’Europa, per i tipi de il Saggiatore, Milano 1962, reperibile prevalentemente nelle biblioteche.

Jean-Claude Pressac, tecnico e ricercatore nel campo delle scienze naturali, ha scritto con il suo Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945, Feltrinelli, Milano 1994 un’opera di attenta descrizione del funzionamento delle camere a gas.

Controverso è il giudizio che connota il lavoro di Daniel Goldhagen, I volenterosi carnefici di Hitler, disponibile per i tipi della Mondadori anche nei tascabili “Oscar”: la tesi di una colpa collettiva dei tedeschi, già da altri sostenuta, è qui ripresa con piglio polemico ma buon rigore documentaristico. Su questo tema si era già esercitato, attraverso un’opera comparativistica, Ian Buruma in Il prezzo della colpa. Germania e Giappone: il passato che non passa, Garzanti, Milano 1994.

Di elevato rigore e di grande valore analitico è di Michael Burleigh e Wolfgang Wipperman, Lo stato razziale. Germania 1933-1945, Rizzoli, Milano 1992.

Senz’altro da leggere sull’operato degli Einsatzgruppen – le unità di sterminio operanti nelle retrovie orientali – è il libro di Christopher Browning, Uomini comuni, Einaudi editore, ora ristampato per i “Tascabili” dello stesso. E’ un’opera unica, rigorosissima, agghiacciante e implacabile: prendendo a spunto il diario operativo del Battaglione 101 della polizia tedesca descrive modalità, tempi, motivazioni e atteggiamenti di coloro che parteciparono allo sterminio per fucilazione nelle campagne polacche e della Russia Bianca. Dello stesso autore si segnala Verso il genocidio. Come è stata possibile la “soluzione finale”, Il Saggiatore, Milano 1998.

Più posizionato sul versante storiografico tradizionale ma di rilevante valore euristico è l’opera del britannico Ian Kershaw di cui in italiano sono stati tradotti i volumi:

Che cos’è il nazismo? Problemi interpretativi e prospettive di ricerca, Bollati Boringhieri Editore, Torino 1995; Il “mito di Hitler. Immagine e realtà nel Terzo Reich, Bollati Boringhieri Editore, 1998; Hitler e l’enigma del consenso, Laterza, Bari-Roma 1997; i due volumi della biografia di Hitler, vol.I Hybris e vol. II Nemesis, entrambi da Bompiani editore, 2000 e 2001.

Lo storico Richard Breitman nel suo Himmler. Il burocrate dello sterminio, Mondadori, Milano 1991 ha raccontato la storia della Shoah attraverso la particolare prospettiva di uno dei suoi massimi pianificatori.

La sociologia dei lager, ovvero i criteri di organizzazione di quella forma particolare di microsocietà che era costituita dai KZ e VL, è analizzata da Wolfgang Sofsky nel suo L’ordine del terrore. Il campo di concentramento, Laterza, Roma-Bari 1995 così come ne Il secolo dei campi. Detenzione, concentrazione e sterminio, di Joel Kotek e Pierre Rigoulot, Mondadori, Milano 2001. Provocò all’epoca della sua pubblicazione grandi polemiche l’opera di Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli Editore, Milano (più edizioni, anche recentissime). E’ una riflessione a tutto campo sui problemi che il sistema concentrazionario e la meccanica delle deportazioni sollevano a tutt’oggi, non solo tra gli storici ma anche nella coscienza comune.

Sulle vicende italiane si segnalano i seguenti volumi:

- Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, anche tra i “Tascabili”;

- Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica. Le relazioni italo-tedesche e la politica razziale, Comunità Editore, Milano 1982, mai più ristampato;

- Michele Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Zamorani Editore, Torino 1994 e dello stesso autore Gli ebrei nell’Italia fascista, Einaudi, Torino 2000.

Sui ghetti in Polonia: Israel Gutman, Storia del ghetto di Varsavia, La Giuntina Editore, Firenze 1996.

Una criterio originale, accattivante e riuscito di rappresentare la deportazione è quello realizzato dal disegnatore Art Spiegelman in Maus. Racconto di un sopravvissuto, Rizzoli Editore, 2 volumi (ora disponibile anche in CD Rom). L’angoscia e la disperazione derivanti da tale tragedia è resa, attraverso il resoconto delle vicissitudini di una famiglia di ebrei, in forma di fumetto, unico tentativo del genere ad oggi.

Ancora sul piano multimediale l’opera editata da Proedi per la cura della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica di Milano, Destinazione Auschwitz, in due CD Rom accompagnati da un volumetto esplicativo, si consiglia per il rigore ma anche la buona adattabilità ad un percorso d’indagine e riflessione sul tema delle deportazioni.

 

Sul web esistono molti siti dedicati alla memoria della shoah. Perlopiù sono in lingua inglese. Digitando nella funzione search di qualsiasi motore di ricerca i termini Holocaust, Shoah, Genocide e così via si possono ottenere pagine di grande interesse. Si segnalano i seguenti indirizzi:

www.nizkor.org

www.deportati.it

www.holocaust-trc.org

www.olokaustos.org

  

d.    Opere sulle persecuzione e la deportazione dei testimoni di Geova

 

Difettano lavori organici sulle persecuzioni e sulla deportazione dei testimoni di Geova, soprattutto quelli tedeschi che maggiormente subirono i rigori delle politiche oppressive poste in essere dal nazismo. Accenni sulle loro vicissitudini vengono ripetutamente fatti in libri che trattano la storia dei campi, soprattutto da un punto di vista memorialistico, ma fino ad oggi, se si fa eccezione per alcuni titoli usciti in lingua francese ed inglese, ben poco è stato scritto in materia. A titolo di sintesi si consigliano, per la loro qualità e analiticità, due opere: la prima è quella in lingua francese di Guy Canonici, Les témoins de Jéhovah face à Hitler, Albin Michel Editore, Paris 1998. Si tratta di una riflessione ricchissima di testimonianze, spunti di comprensione e organizzata con metodo e rigore. Articolata in sei capitoli densi e robusti (I. L’hitlerismo e il nazismo: una visione mistica e messianica del mondo; II. Cristiani di fronte a Hitler; III. La lotta: il braccio e il verbo; IV. La distruzione delle famiglie; V. Il coraggio di denunciare; VI. L’espiazione), senza nulla togliere al rispetto dei parametri scientifici d’indagine sui fenomeni storici, è vivacemente protesa a descrivere le concrete condizioni in cui si realizzarono le pratiche persecutorie del regime hitleriano, intervallando analisi documentali a voci testimoniali. La simpatia che l’autore esprime verso quelle che considera “vittime dimenticate” non offusca le qualità del giudizio, sereno e, al contempo, scevro da mistificazioni o infingimenti di sorta. La ricostruzione della vicenda dei Bibelforscher, operata coniugando una quantità di dati notevolissima a un livello raffinato di interpretazione, assume così i connotati di una storia della quale il lettore si appropria, pagina dopo pagina. Come in una indagine di polizia dove, traccia su traccia, si ricostruiscono i trascorsi di una storia altrimenti destinata all’oblio, si viene progressivamente avvinti dalla narrazione del passato. Chiudendo il libro si ha l’impressione di aver fatto un percorso nella memoria collettiva di una parte di Europa che esisteva e della quale, frequentemente, non si ha cognizione. Testo comunque impegnativo poiché redatto secondo i parametri della ricerca scientifica, tuttavia non ne preserva il tedio che spesso, invece, a tale genere di trattazioni si accompagna, soprattutto per parte del lettore non attrezzato ad un certo genere di studi.

Il secondo lavoro sul quale vale la pena di soffermarsi è l’opera a più mani intitolata Persecution and Resistance of Jehovah’s Witnesses During the Nazi-Regime, 1933-1945, curato da Hans Hesse per la Temmen Edizioni, Brema 2001 (al sito http://www.edition-temmen.com). E’ l’edizione in lingua inglese di un’opera già precedentemente pubblicata in tedesco e si divide in due parti: una sezione completamente dedicata allo studio dei testimoni di Geova in Germania e un’altra impegnata ad inquadrare le forme odierne della comunicazione e della socializzazione della memoria delle persecuzioni. Prodotto di un impegno collettivo, raccoglie le idee e le opinioni di più studiosi e ricercatori, di diversa estrazione culturale e formazione intellettuale. Ricchissima e ben organizzata la bibliografia – senz’altro la migliore per quanto concerne la lingua tedesca – ed ampio il repertorio di questioni prese in esame, anche in misura critica. Si può dire che è un primo tentativo di qualificare e quantificare sia il fenomeno persecutorio che, soprattutto, la composizione – sociale, culturale ed economica – dei testimoni di Geova sui quali si esercitò. Poiché, in questo come in tutti gli altri casi, non basta nominare l’evento per avere chiaro il disegno ad esso sotteso: bisogna sempre indagare sulle figure in campo, sulla natura e la composizione di coloro che subirono o fecero subire determinati ruoli. Insomma, chi erano le vittime e chi i carnefici?  Qual era il loro profilo sociologico?  Come si inseriva la campagna contro la minoranza religiosa dei testimoni di Geova nel quadro delle attività repressive perseguite dai singoli regimi totalitari? Quali ne erano gli antecedenti, nella Repubblica di Weimar e, in certa misura - soprattutto nella Repubblica Democratica Tedesca - i conseguenti? Attori e scenografie, in altre parole, costituiscono i due poli di riferimento all’interno dei quali collocare i percorsi dell’oppressione. L’auspicio è che questo volume inauguri una fertile attività di riflessione da articolare su più piani e in molteplici ambiti nazionale. Perché se è giusto soffermare la propria attenzione sulla vicenda dei “triangoli viola”, massima espressione di una violenza istituzionalizzata, non va offuscata o distratta l’attenzione anche da altri eventi dolorosi, forse meno eclatanti nella loro portata ma comunque significativi di che cosa voglia dire appartenere ad un gruppo o essere portatori di una identità eccentrica rispetto agli interessi del potere dominante, qualunque esso sia. E il pensiero non può non andare, allora, alle politiche poste in essere dai regimi a “socialismo reale” o agli stessi atti d’intolleranza che anche nei paesi a democrazia liberale o, teocratici - nell’Islam contemporaneo - si sono espressi nei confronti di questa Denominazione religiosa, come di altre. E, segnatamente, nel passato ma anche nel presente. A tal guisa si esprime il volume di Shawn Francis Peters, Judging Jehovah’s Witnesses: Religious Persecution and the Dawn of the Rights Revolution, University Press of Kansas, 2000, interamente dedicato alla vicenda dei testimoni di Geova statunitensi durante gli anni quaranta, vittime di quelle autorità che li perseguirono penalmente per il loro rifiuto di salutare la bandiera e di servire nell’esercito. Determinati nel tutelare le loro prerogative di fede e coscienza attraverso il ricorso al Primo Emendamento della Costituzione, tra il 1938 e il 1946 essi ingaggiarono una lunga e tenace campagna legale che comportò ben ventitré ordinanze della Corte Suprema. Shawn ha ricostruito il complesso e tortuoso percorso che contraddistinse la querelle tra la Congregazione ed i poteri pubblici, ponendo in rilievo come tale vicenda concernesse non solo la sfera d’azione e di decisione dei membri di un gruppo religioso ma la ben più ampia e corposa questione dell’attivazione e della fruizione dei diritti sanciti dalla Costituzione per parte di tutti i cittadini americani.  Il contrasto tra le organizzazioni che si contrapponevano al culto, a partire dall’American Legion, e i membri dello stesso è ricostruito anche dall’angolo prospettico degli effetti sulle esistenze private dei singoli. Attraverso un’opera di ricerca e spoglio in archivi pubblici e privati, Shawn ha così esaminato le strategie di azione e reazione dei soggetti coinvolti nella diatriba, segnalando come l’azione dei testimoni di Geova concorse ad inaugurare la lunga stagione  del movimento dei diritti civili che, a partire dagli anni cinquanta, contraddistinse lo sviluppo della società americana.

Sempre in lingua inglese si segnalano i lavori di Christine Elisabeth King, The Nazi State and the New Religions: Five Case Studies in Non-Conformity, Edwin Mellen Press, 1983 e il suo saggio intitolato Jehovah’s Witnesses Under Nazism, nel volume collettaneo a cura di Michael Berenbaum, A Mosaic of Victims: Non-Jews Persecuted and Murdered by the Nazis, New York University Press, New York 1992. Qualche spunto può derivare dalla lettura di John S. Conway, The Nazi Persecution of the Churches 1933-1945, Regent College Publishing, New York 1997 mentre l’United States Holocaust Memorial Museum (al sito www.ushmm.org) ha editato nel 1995 l’opuscolo Jehovah’s Witnesses: Victims of the Nazi Era 1993-1945, Washington, reperibile al sito www.triangoloviola.it. Sul piano memorialistico è d’interesse il lavoro di Ina R. Friedman, The Other victims: First-Person Stories of Non-Jews Persecuted by the Nazis, Houghton Mifflin Co., Boston 1995 che raccoglie le testimonianze delle violenze contro i non ebrei, inserendole all’interno della cornice storica nella quale ebbero corso. Diviso in sezioni, ognuna includente una breve descrizione tematica e il racconto a viva voce di un protagonista, si propone, passo dopo passo, come l’affresco di un fenomeno collettivo, vissuto sul piano inclinato delle dinamiche intercorrenti tra violenza di stato e distruzione delle diversità socioculturali. Di significativo valore testimoniale è infine il libro di Simone Arnold Liebster, Facing the Lion: Memoirs of a Young Girl in Nazi Europe, Grammaton Press, 2000.

Il CETJAD (Cercle Européen des Témoins de Jéhovah Anciens Déportés et Internés, agli indirizzi web  http://membres.lycos/bibelforscher/), organismo che ha come obiettivo quello di “conservare la memoria dei cristiani testimoni di Geova oppressi, perseguitati e internati dal regime nazista in ragione del loro ideale religioso e della loro fedeltà a Dio” ha pubblicato la Mémoire de Témoins 1933-1945, Boulogne-Billancourt, 1995.

In lingua italiana sono quattro i testi integralmente impegnati nell’analisi del fenomeno persecutorio: Matteo Pierro, Fra martirio e resistenza, Editrice Actac, Como 2002; l’edizione italiana del volume di Silvie Graffard e Leo Tristan, I Bibelforscher e il nazismo, Editions Tiresias-Michel Reynaud, 1994; l’opera collettanea su Minoranze coscienza e dovere della memoria, Jovene Editore, Napoli 2001 ed infine la ricerca di Andrea Filippini su I Bibelforscher e il nazismo. Obiettori di coscienza per motivi religiosi, Editrice Italica, Pescara 2002. Si tratta di libri dal valore diseguale e con obiettivi diversi. Sono significativi soprattutto poiché esprimono un’esigenza comune, avvertita in maniera particolarmente vivace in questi ultimi anni (non a caso sono stati tutti pubblicati in questi ultimi tempi): quella di raccontare le vicissitudini di chi non ha ancora trovato un uditorio disposto ad accoglierne la narrazione. Sono “testimonianza di più testimonianze”: raccontando il passato cercano di segnalare le difficoltà al presente di una comunicazione che ancora corre su binari vincolati, includendo di diritto certuni ma escludendo altri.

Più puntuali dal punto di vista delle metodologie adottate i saggi di Giorgio Rochat su Regime fascista e Chiese evangeliche. Direttive e articolazioni del controllo e della repressione, Claudiana Editrice, Torino 1990, pagg. 275-301, e Paolo Piccioli, I testimoni di Geova durante il regime fascista in Studi Storici, n° 1-2000, pagg. 192-228.

   

e.    Come inquadrare la questione della natura dell’atteggiamento dei testimoni di Geova durante il nazismo e il fascismo

 

Un problema aperto, al quale non è facile dare risposta – e su cui senz’altro si avrà modo di tornare in futuro, con qualche altra riga di commento – è quello della definizione da dare all’atteggiamento assunto da questa Denominazione cristiana durante le persecuzioni e l’oppressione esercitata dal nazismo e dal fascismo.

Assunto come dato incontrovertibile il fatto che esso si qualificò come resistenza, trattandosi di una forma, non importa quando organizzata ed auto o eterodiretta, di opposizione alle scelte poste in essere dai sistemi politici illiberali e totalitari, necessita dar di conto della natura di tale ispirazione, tradottasi, nel corso del tempo, in una serie di condotte chiaramente connotate da una impostazione avversa agli stessi. Questione per l’appunto di difficile inquadramento poiché entrano in gioco alcuni fattori tra cui:

-         l’astensione da qualsivoglia gesto o atteggiamento di ispirazione politica e la conclamata neutralità della Congregazione rispetto ai regimi politici vigenti;

-         la vocazione, dottrinale ma anche e soprattutto morale e spirituale, nei confronti del disegno divino e della parola biblica, che però non impedisce la cura per le cose della terra, ovvero per l’insieme dei fatti e degli atti ottemperati i quali il comportamento del cristiano è qualificato come congruente allo spirito della fede professata (in altri termini, l’ortoprassi). Se quindi si può senz’altro parlare di astensione politica non la stessa affermazione può essere avanzata sul piano della socialità e della socializzazione. Semmai vale, in questo secondo caso, l’indicazione esattamente opposta, trattandosi - la fede dei testimoni di Geova - di un regime interiore che si estrinseca attraverso comportamenti pubblici e, pertanto, di elevata risonanza sociale. Quindi, all’astensione politica si accompagna l’interventismo sociale.

Riguardo al primo passaggio il problema è di capire dove si consuma il punto di separazione tra l’estraneità e l’intervento, dove cioè si esaurisce la possibilità di esercitare un benign neglect (una “benigna trascuratezza”) verso gli ordinamenti secolari, imponendosi per via delle circostanze l’assunzione di atteggiamenti, quantomeno passivi, che ostano le volontà e le prassi di dominio esercitate da chi detiene il potere.

La neutralità, peraltro, non può essere vissuta come indifferenza. Ne fa fede la storia stessa dei testimoni di Geova, laddove il confronto con regimi politici non propensi a garantirne lo spazio di sopravvivenza si è tradotto in più di un’occasione in una collisione. La rigida separazione, quindi, viene così meno dal momento in cui si stabilisce una reciprocità concorrenziale, dove in gioco è, per la Congregazione, la sua esistenza stessa.

Resistenza, pertanto, si ha ogniqualvolta la Denominazione ha esercitato una scelta orientata in tal senso, motivandola secondo i criteri che le erano proprie e praticandola fino alle sue estreme conseguenze. Questo vale per la storia che è in nostro oggetto ma anche per altre vicende e vicissitudini, a partire dalla impossibile coabitazione con le autorità dei sistemi a “socialismo reale” dell’Est, tra il 1945 e il 1989.

Come già si è affermato, si avrà comunque modo di tornare su questo punto nodale. A titolo di semplice richiamo bibliografico, e per avviare una tematizzazione del problema, si rimanda al testo di Jacques Semelin, Senz’armi di fronte ad Hitler, Sonda Editore, Torino 1993. Non vi è trattata nello specifico la questione del comportamento dei testimoni di Geova ma si affronta di petto l’aspetto, frequentemente sottaciuto, delle molteplici e diffusissime forme di resistenza civile e spirituale al nazismo. Repertorio delle infinite possibilità di riaffermare le ragioni della vita di contro alle politiche di morte, il libro prende in esame, tra le altre, anche le diverse forme di non cooperazione che furono proprie del comportamento oppositivo della Congregazione, soprattutto tra coloro che, internati nei lager, a rischio della propria vita, si astennero dal seguire gli ordini e dall’aderire a certe forme di precettistica imposte dalla direzione dei campi. Un richiamo d’obbligo, a tale riguardo, è alla testimonianza di Margarete Buber Neumann che nella sua autobiografia, Prigioniera di Stalin e di Hitler, il Mulino, Bologna 1994, rimembra più episodi di tal genere; ma anche la Germane Tillion di Ravensbrueck, Parigi 1988 e Lidia Beccaria Rolfi, insieme a Anna Maria Bruzzone, con Le donne di Ravensbrueck, Einaudi, Torino 1978. Non è un caso che le testimonianze si addensino su questo ultimo campo, dove la presenza di donne appartenenti alla Denominazione cristiana era particolarmente corposa.

Di più recente redazione è la voce curata da Anna Bravo, Resistenza civile, per il primo volume del Dizionario della Resistenza editato da Einaudi (Torino, 2001). Anche qui difettano i rimandi storici specifici all’insieme di vicende che pertengono alla riflessione sui Bibelforscher ma è ben ricostruito il quadro concettuale e tematico all’interno del quale va dipanata la complessa matassa dei comportamenti di cui ci stiamo occupando.

Concludendo, ma solo parzialmente, ci pare di potere affermare che la radice intima della Resistenza dei testimoni di Geova va ricerca in tre direzioni:

1.     fu rifiuto civile - corroborato da fatti specifici e gesti precisi – poiché condiviso insieme ad altre categorie di persone, a gruppi sociali e culturali come a singoli individui accomunati tutti da una rigorosa adesione al principio dell’azione nonviolenta. A partire da questa premessa, malgrado la inusitata violenza che caratterizzò i regimi del “totalitarismo reale”, ci si adoperò per preservare aree franche, di libero pensiero, scevre dall’occupazione ideologica e culturale operata dal nazismo, dal fascismo e dallo stesso stalinismo;

2.     fu opposizione morale, poiché si sviluppò nel solco di una condotta testimoniale, eccedente il carattere stesso di religiosità della propria vocazione e proiettata verso la costruzione di un orizzonte di significati etici condivisibili anche per parte di chi non era membro della Denominazione ma affrontava la medesima situazione di estrema coercizione. In questo caso l’adesione tra condotta concreta e moralità interiore testimoniò della praticabilità, in quei luoghi dell’estremo che erano i lager, di una virtù mediana, quella della solidarietà. In un contesto dove la dimensione del rispetto reciproco era completamente cancellata, la religiosità rispondeva soprattutto all’imperativo di considerare i propri compagni di sventura per ciò che erano, degli esseri umani dotati di una dignità propria;

3.     fu resistenza spirituale nella misura in cui preservò, attraverso la testimonianza intesa come modo di essere, esperienza di vita, non solo un’identità di fede ma l’idea stessa che potesse esistere un credo diverso, antitetico a quello professato dal regime dominante il cui obiettivo manifesto, quello di fagocitare le intelligenze, precedeva, ma solo di poco, l’intenzione di usare gli uomini e le donne come carne da cannone, così come di fatto avvenne con il secondo conflitto mondiale.

Su quest’ordine di problemi si vedano le opere di Bruno Bettelheim ed in particolare Il cuore vigile, Adelphi Editore, Milano 1988. Con le sincere e amare riflessioni di questo grande autore (psicoanalista, deportato nei campi egli stesso) aperte a considerazioni inusuali ma ispirate da un acume fuori dal comune, si può idealmente chiudere il cerchio bibliografico che abbiamo aperto

 

Claudio Vercelli


 Claudio Vercelli, storico e pubblicista, è ricercatore presso l’Istituto di studi storici Salvemini di Torino dove coordina il progetto di ricerca e formazione sugli “Usi della storia, usi della memoria”

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