Triangolo Viola - Il sito

Articolo da "il foglio"
Nro. 276 del Dicembre Anno 2000
http://www.ilfoglio.org

"Chi ha paura dell'agnello mite?"
(sulla persecuzione nazista dei Testimoni di Geova) (Susanna Conti)

Non tutti sanno che i Testimoni di Geova furono anche loro perseguitati dal nazi-fascismo: perché non facevano il saluto a Hitler e alla bandiera nazista e perché rifiutavano di svolgere il servizio militare in nome del comandamento «non uccidere», cioè erano obiettori di coscienza.

Nei lager furono il solo gruppo religioso a ricevere un loro contrassegno d’identificazione: un triangolo viola cucito sulla casacca. A differenza degli internati ebrei, politici, omosessuali, rom, i Testimoni di Geova avrebbero potuto uscire dai lager firmando un’abiura. Ma non lo fecero, e circa 2.000 di loro morirono nei campi. La storia dimenticata dei Bibelforsher (letteralmente “studenti biblici”, così erano chiamati in Germania prima del 1931) è ora documentata anche da una videocassetta intitolata I Testimoni di Geova saldi di fronte all’attacco nazista, che dopo essere stata presentata il 9 novembre ‘99 a Montecitorio gira ora nelle scuole (info: 011.8609556).

Il movimento religioso avventista dei Testimoni di Geova, nato negli Stati Uniti nel 1878, negli anni Trenta in Germania contava 19.000 aderenti: 10.000 furono internati. In pratica, 1 su 2 fu deportato, e 1 su 10 morì nei lager. In Italia, dove i Testimoni prima della guerra erano solo 150 (oggi gli attivisti sono 230.000), 83 finirono al confino e 2 furono deportati a Dachau: Narciso Riet vi morì nel giugno del ’44.

Oltre a essere tra i primi a essere deportati, i Testimoni furono tra i primi a denunciare già nel ’34, subito dopo l’ascesa di Hitler al potere, che cosa accadeva dentro i campi, disponendo di notizie di prima mano: lo scrissero nelle loro riviste che distribuivano con capillarità in tutta l’Europa. E pagarono anche per questo.

Quello che segue è un testo presentato da un’insegnante di scuola superiore, Susanna Conti, a Moncalieri (Torino) il 6 aprile scorso a un dibattito in cui veniva proiettata la videocassetta.


come e perché dimentichiamo una parte della storia

Chi ha paura dell’agnello mite?

«Ma, papà, che cosa vuole la storia?»

Cesare Musatti, Chi ha paura del lupo cattivo?, Roma, Editori Riuniti, 1987

 

1. Una favola per presentare un problema

Non si può parlare dei Testimoni di Geova nei lager nazisti senza chiedersi se le persone sappiano davvero qualcosa dei Testimoni di Geova. Io stessa posso dire di conoscerli abbastanza per caso: la presenza a scuola di alcune studentesse e (nella vita di scuola) delle loro famiglie mi ha permesso di avere con loro rapporti più profondi di quelli che vanno a costituire i luoghi comuni. Rapporti di amicizia, poi estesi ad altri. L’impressione è che nella nostra società interetnica, interculturale e (forse) fortemente laica i Testimoni siano dimenticati due volte: nella loro esperienza della persecuzione nazista e nella vita quotidiana.

Quali sono gli scenari mentali che si attivano quando si parla dei Testimoni? Riporto alcune frasi raccolte in modo non scientifico, ma comunque significative:

-         Ma hanno lo stesso Dio che abbiano noi?

-         Io gli dico subito: «No, guardi, ho già il mio Dio».

-         Se gli dai corda, non ti mollano più...

-         Però sono tutta brava gente: ce n’è uno qui che fa l’infermiere volontario!

-         Per la maggior parte sono un po’ ignoranti e allora qualcuno ne ha approfittato.

-         Però sono da ammirare: vanno in giro anche quando fa freddo!

-         Sembrano tutti uguali. Li vedi subito. Non spostano neanche l’aria che respirano.

-         Avevo la donna che veniva a stirare: avrei potuto lasciar lì tutto che lei non avrebbe preso niente.

-         Sono quelli che non vogliono le trasfusioni. Certo che adesso anche noi, con tutto quello che ci si può prendere...

-         Ma c’erano già, in Germania?!

Un gruppo da “tollerare”, insomma (oggi nessuno oserebbe non essere “tollerante”): sono poco colti, si riconoscono subito perché sono “diversi” (chissà da quale modello) e comunque non sono cattivi e non danno troppo fastidio se li si tiene a distanza (in certi gruppi cattolici integralisti sono state diffuse tecniche di difesa dai Testimoni di Geova). Accettarli, conoscerli no. Tanto meno pensare che anche loro siano (come sono) uno/a diverso/a dall’altro/a.

Credo che sia importante tentare un’ipotesi per spiegare questa doppia rimozione. Si rimuove quello di cui si ha paura. Ed è a prima vista paradossale che si abbia paura non del lupo cattivo, ma dell’agnello mite.

Il lupo della storia è diventato, tutto sommato, un personaggio simpatico: da metafora dell’oppressore è slittato verso immagini più rassicuranti e controllabili, da quella disneyana del lupo eterno sconfitto fino a quella volutamente esagerata del lupo sfortunato che ispira solidarietà. Provate a giocare con un/una bambino/a a simulare la paura: Andiamo per il bosco a vedere se c’è il lupo... Uno dei segnali di cambiamento nel tempo del/della bambino/a si ha quando alla fine del gioco smette di fare la parte di quello che scappa e vuol essere lui/lei a fare la parte del lupo. Insomma, il lupo diventa “integrato” in due modi possibili: o le sue caratteristiche sono rese inoffensive (ad esempio dalla sfortuna) oppure se ne assume il ruolo. È più facile vestire il ruolo dell’oppressore invece di quello della vittima. Anche perché si può sempre far finta che la vittima non ci sia. Dimenticandola.

Invece all’agnello della storia non ha mai pensato nessuno. Nessuno ha mai pensato di tramandarne un’immagine, tanto meno di farla evolvere. Nessuno giocherebbe mai a fare la parte dell’agnello. Perché l’agnello è mite e saranno pure beati, i miti, ma non saranno mai vincenti.  Perché l’agnello è la vittima e la vittima (a meno che sia rimossa) impone di prendere consapevolezza del ruolo reale dell’oppressore. Tanta fatica e tanta cultura per “contenere” il lupo ed ora la presenza dell’agnello fa tornare il lupo nella sua dimensione che provoca paura e che si era riusciti a eliminare! Brava gente, gli agnelli, sono un po’ ignoranti, però sono da ammirare: non spostano neanche l’aria che respirano... Sono anche capaci di farsi ammazzare nei lager.

Chi è l’agnello e chi è il lupo della storia? E che cosa vuole la storia? Soprattutto la Storia con la S maiuscola... Che il lupo sia condannato o che il lupo sia dimenticato e magari assolto dal silenzio? E se il lupo va dimenticato, quale strada migliore che quella di dimenticare prima di tutto l’agnello?

 

2. Il lupo della Storia

Il lupo della Storia è Hitler. Ce ne sono altri: da quello romano che stermina i Mandubii in Gallia (donne, vecchi e bambini) a quello delle foibe, a quello dei gulag, a quello dei Balcani, a quello (quasi sconosciuto) della Cecenia e dell’Uganda (che da noi non fa notizia). Ma Hitler li rappresenta bene tutti: è il paradigma del lupo.

Il rischio, oggi, è che Hitler sia soltanto più Storia. Lo vediamo bene a scuola. Eccetto che in alcune situazioni molto valide e diverse fra loro (numerose, per fortuna), Hitler è un capitolo di Storia. Come Cavour, come Giolitti, come il Sessantotto:

-         Auschwitz, ma scusa, non era Custoza?

-         Era dopo?

-         E che c’entran le docce?

-         Impiccavano al suono di un tango?

-         Fratelli Rosselli o Bandiera?

-         Sei milioni o seicentomila?[1]

Il che equivale a dire che Hitler è un lupo che non fa più paura, perché lo abbiamo contenuto fra le pagine di un manuale. Se poi lo si vede in un filmato d’epoca è anche ridicolo, ma ciononostante continua ad alimentare miti (tra gli ultras allo stadio come nell’Austria di Heider).

Perché allora rimuovere l’agnello mite della Storia? Perché costringe a porsi domande, a valutare l’abisso a cui possono arrivare uomini contro altri uomini, a considerare che non è affatto scontato che non possano esserci altri agnelli miti oppressi dai lupi della Storia.

Che cosa può fare la scuola contro questa rimozione? Molto sul piano dell’informazione, di più sul piano della formazione. Informare sul lager (e sui Testimoni in lager) non è facile: i ragazzi tendono anch’essi a rimuovere il lupo della Storia, a meno che non siano coinvolti a costruirla, la Storia. Questo è possibile almeno in due modi:

·        attraverso l’ascolto dei testimoni di ciò che è stato e attraverso il dialogo con loro (almeno finché è possibile)

·        attraverso il lavoro di ricerca e di elaborazione dei dati.

I Testimoni di Geova stanno offrendo per l’ascolto e per il dialogo un materiale importantissimo sia per la qualità sia per la prospettiva nuova (che è il caso davvero di sottolineare). Con la videocassetta I Testimoni di Geova saldi di fronte all’attacco nazista i Testimoni si propongono come soggetto di cultura e non come oggetto di cultura. Credo che si tratti di un fattore fondamentale perché la vicenda storica della persecuzione nazista non può (e secondo me non deve) essere visitata con presunta obiettività esterna e senza tenere conto del punto di vista del protagonista (del punto di vista dell’agnello mite). Ci sono snodi della Storia dopo i quali il mondo e gli uomini non possono più essere come prima. E questo snodi non debbono essere affrontati assieme ai giovani sine ira et studio. Sarebbe falso e fuorviante. Senza ira, forse, ma certamente con passione e schierandosi con chiarezza.

Il lavoro di ricerca è la seconda possibilità. In una classe del Liceo di Moncalieri (Torino) nel 1997 è stato elaborato un ipertesto sulla deportazione nazista[2]: al progetto e alla realizzazione hanno partecipato due allieve Testimoni che hanno reso noto all’insegnante e agli studenti quello che nessuno prima sapeva e cioè l’esistenza dei Triangoli Viola. Poco importa che il lavoro non sia stato valutato né tanto meno considerato agli Esami (allora ancora di Maturità): mettere in comune informazioni e trasformare le informazioni in giudizi argomentati è servito a far crescere giovani e adulti. Credo che ora il filmato Saldi possa e debba essere segnalato in ogni bibliografia seria per la stesura di saggi brevi sulla realtà del lager[3].

Va detto che il lavoro di informazione sul lager (e sui Testimoni in lager) rimane monco e forse poco utile se non si colloca in un progetto di formazione delle persone (degli studenti e anche di chi lavora assieme a loro). Per dire come, conviene tornare al lupo e all’agnello mite della storia quotidiana.

 

3. Il lupo della storia di tutti i giorni

Il lupo quotidiano non si può ridurre a paradigma. L’abbiamo dentro tutti. Il che non significa che dobbiamo sentirci in colpa. Basta conoscerlo, accettarlo, usarlo per la sua forza che non è detto debba essere violenta. Altrimenti diventa il lupo prepotente che per affermarsi (o anche solo per rassicurarsi e sentirsi fortunato) trova con facilità troppi agnelli miti: i Cinesi al mercato, i Marocchini e i Senegalesi dei cantieri in nero, gli Albanesi al semaforo. Facciamoli diventare tutti la stessa cosa, tutti uguali perché sono “diversi”, magari tutti irregolari o anche spacciatori, così non dobbiamo preoccuparci di distinguere, di capire le differenze, di ammettere la differenza nostra. Non dobbiamo preoccuparci di conoscere. E il lupo dentro di noi è soddisfatto. Siccome non sa, può anche illudersi di essere capobranco.

Che cosa rende i Testimoni di Geova agnelli miti? Dalla parte del lupo, il fatto che il lupo continui a non volerli conoscere. Dalla parte degli agnelli, il fatto di essere un gruppo e di presentarsi agli altri attraverso lo strumento della parola.

La scuola, se ha un progetto reale di formazione, non deve inventare il “modulo” o l’“unità” o l’“ora” di intercultura. Fare degli altri assieme a noi un oggetto magari privilegiato di studio equivale a mantenere gli altri diversi da noi per catalogarli in un gruppo facilmente riconoscibile. La scuola deve arrivare a superare l’idea che l’altro si debba solo “accettare” o “tollerare”. L’altro c’è, è uguale a me perché è diverso da me. Siamo uguali tutti solo se ciascuno è differente.

E allora? Conoscere i Testimoni agnelli miti sapendo chi sono come gruppo? Certo, ma soprattutto scegliere di conoscere Rosangela che è diversa da Sabrina che è diversa da Elisabetta, Giuseppe che è diverso da Alberto che è diverso da Marco. Marco in classe era così poco mite e così “casinista” che la professoressa di matematica gli ha scritto una nota un giorno in cui lui era assente. Anche i pregiudizi “al contrario” sono figli del lupo cattivo: gli Ebrei sono tutti intelligenti, i Valdesi sono tutti coltissimi, i Testimoni di Geova sono tutti obbedienti. Così obbedienti che facevano gli obiettori di coscienza quando obbedire era ancora una virtù... E disobbedire significava andare in prigione.

Soltanto dopo che siamo davvero tutti uguali perché siamo tutti diversi, diventa formativo (e non solo a scuola, di sicuro) capire che cosa renda “gruppo” il gruppo, perché insomma i Testimoni di Geova si presentino agli altri armati di parole o della Parola.

Credo che qui basti sottolineare il valore della parola-testimonianza, qualunque sia la fede o la convinzione che si vuole presentare a chi ascolta. Forse è un altro aspetto dell’agnello mite che il lupo della storia non riesce ad accettare: il coraggio di dire quello in cui si crede. Come fa l’agnello della storia che ribatte al lupo di non avergli intorbidito l’acqua, proprio mentre il lupo lo azzanna.

Quali i messaggi? Il primo è capire che non serve rimuovere l’agnello mite. Tanto più che l’abbiamo dentro tutti anche quello, più o meno nascosto. Il lupo comunque non si cancella. Perciò è il lupo che dobbiamo rendere oggetto di studio, perché per essere testimoni di ogni fede o di ogni idea non occorra diventare martiri mai più.

Il secondo messaggio è quello di Hurbinek, il bambino nato ad Auschwitz e che non aveva mai imparato a parlare[4]. Hurbinek, il dimenticato della Storia, quello che non aveva strumenti per dirsi e per dire, ha trovato negli altri le parole per testimoniare anche davanti a noi.

Susanna Conti



[1] Nedelia Tedeschi Lolli, E i loro figli più non sapranno, Torino, Edizioni Italscambi, 1976, p. 43.

[2] Studenti della V g del L.S.S. «Ettore Majorana» di Moncalieri (1996-97), Per non dimenticare, ipertesto in http://www.arpnet.it/~major/weil.htm (webmaster Alessandro Salmi con la collaborazione di Gianni Imbalzano); pagine sui Testimoni di Geova a cura di Sabrina Caleffi e Rosangela Topputo.

[3] Susanna Conti e Dario Corno, Manuale di Educazione alla Scrittura, Firenze, La Nuova Italia, 2000, p. 156.

[4] Primo Levi, La tregua, Torino, Einaudi, 1963, pp. 23-24.


Per gentile concessione direttore il foglio

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