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Citazioni dal libro
di Guy Canonici
"I testimoni di Geova di fronte a Hitler"
Capitolo 4:  Il doloroso problema dei bambini

 

"I testimoni di Geova di fronte ad Hitler" Guy Canonici


Il doloroso problema dei bambini

     Nella concezione nazionalsocialista il corpo docente non è deputato soltanto all’istruzione dei bambini, ma, innanzitutto, all’educazione degli stessi in senso ideologico, inculcando in loro il pensiero dominante ed i precetti nazisti. Rapidamente le difficoltà con il corpo docente diventeranno serie. Qualche anno più tardi in Lorena, diventata nuovamente tedesca Ruth Danner  racconta che “alcuni maestri e professori sono stati portati dalla Germania. Il saluto hitleriano è diventato obbligatorio”. Si tratta di un vero dilemma per i bambini. Il corpo docente nel suo insieme reagì con l’incomprensione. I maestri si accordarono con le assistenti sociali ed i giudici per mettere al bando dalla società dei bambini il cui solo delitto era di essere in disaccordo con l’opinione corrente. Esclusi dalla scuola dove erano giudicati pericolosi, furono strappati ai loro genitori per essere affidati a famiglie naziste, nel migliore dei casi, oppure, più frequentemente, messi nei riformatori. Nella Germania nazista almeno 860 bambini furono tolti ai loro genitori testimoni di Geova8. Sottolineiamo la seguente circolare del Governatore del Reich al Ministro della Pubblica Istruzione, datata Dresda, 13 novembre 1936:

      Vi prego di farmi pervenire per il 20 novembre del corrente anno un rapporto conoscitivo circa le osservazioni che avrebbero potuto formulare i professori di bambini i cui genitori sono Studenti Biblici. Sarà il caso di notare se questi bambini a seguito dell’influenza del focolare paterno, abbiano una concezione antistatalista ed oppongono una resistenza passiva a tutti i tentativi fatti per riportarli ad altre nazioni.

     Converrà non limitarsi ad una semplice enumerazione dei casi constatati, ma fornire dei dettagli. Nel caso in cui si trovino nelle vostre classi bambini rispondenti alle condizioni indicate, sarà il caso di indirizzare un rapporto negativo9.

      Commentando questa circolare, Michael Kater aggiunge: “Nel caso in cui i bambini non si lasciassero educare nel senso del nazionalsocialismo, per toglierli dalle loro famiglie,i tribunali di tutela avviarono, a partire dal 1936, dei procedimenti contro i genitori nei tribunali locali di prima istanza10. I bambini strappati ai genitori dovevano d’ora in poi essere affidati agli Organismi Statali per la Gioventù”. Dietro le quinte, la Gestapo faceva  regolarmente pressioni sulle istanze giudiziarie. “Nel luglio 1937 i servizi regionali della Gestapo  stimarono che un giudizio del tribunale di 1^ istanza di Zwickau , del 4 maggio 1937, facesse giurisprudenza. Conformemente al paragrafo 1666 del Codice Civile, il Tribunale aveva tolto ad un padre la sua autorità parentale, reputando che mettesse in pericolo l’interesse di suo figlio educandolo nello spirito degli Studenti Biblici, che mettono in pericolo la felicità psichica dei loro figli, attraverso le loro attività illegali e la loro adesione alla dottrina della Società Internazionale degli Studenti Biblici. Dopo gli insegnanti e i rappresentanti della giustizia, gli inquirenti sociali divennero gli esecutori dell’ideologia.  Per determinare l’appartenenza ad una setta, gli inquirenti si attenevano alla direttiva interna che definivano i caratteri di una setta ostile allo Stato. Conformemente alle “direttive di studio per le sette” del 18 giugno 1937, messe a punto dall’Organo Centrale della Sicurezza delle SS ed applicate, in particolare, all’epoca della persecuzione degli Studenti Biblici, i funzionari dovevano in aggiunta ad altri criteri, analizzare i segmenti: relazioni internazionali (della setta) con l’indicazione della sede, nel caso in cui fosse all’estero; educazione della gioventù; atteggiamento verso l’ideologia nazionalsocialista così come verso lo Stato. In un’edizione più tardiva di queste  “direttive”, sottoforma di un questionario, la polizia si interessò inoltre della posizione della setta sul servizio militare, un punto fatale per gli studenti biblici11”.

     Nella Scuola di Wittenberge, il maestro Sienknecht nota nella sua classe il giovane Johannes Weigand e si indigna vedendolo rifiutarsi di dire Heil Hitler! Suo fratello maggiore, Konstantin, ha già avuto lo stesso atteggiamento e per di più ha avuto l’impudenza di non partecipare alla festa del solstizio d’estate. Per il maestro, formato con le idee del tempo, questi bambini sono in rottura con la società e la sua missione consiste nell’integrarli. Rispondendo alla madre che invoca la libertà di culto e di espressione, il maestro Sienkneht  vocifera: “Il Fuhrer ha preso il potere e tutti farebbero bene ad allinearsi senza attardarsi”. Poi, minacciando, aggiunge: “Veglierò perché lei e la sua famiglia finiate molto in basso”. Konstantin si ricorda che nel dicembre 1936 – aveva allora 16 anni – con i suoi fratelli Johannes, 15 anni e George, 8 anni, sua sorella Eva, 14 anni, ed i loro genitori, comparvero davanti al Tribunale di Wittenberg. “Si pretendeva che i nostri genitori non si prendessero cura di noi sul piano spirituale. Che assurdità! I magistrati sono rimasti sorpresi di sentire dei bambini che spiegavano perché non volessero salutare in nome di Hitler. Malgrado tutto, il giudice decise toglierci dai nostri genitori e di inviarci in un riformatorio a Strausberg, vicino a Berlino12.

     A Bad-Lippspringe, vicino a Paderbon, i Kusserow, famiglia di 11 figli, si trovano di fronte alla stessa situazione. Elisabeth, 13 anni, Hans-Werner, 9 anni, e Paul-Gehrard, 7 anni, sono tolti ai loro genitori con il pretesto di “trascuratezza sul piano mentale e morale”. Il Tribunale ordina la loro rieducazione per mezzo di un’Istituzione di assistenza pubblica a Dorsten e la dà vinta al servizio della Gioventù. Più di 40 anni dopo, Paul-Gehrard ha ricevuto una lettera di un uomo che la coscienza tormentava ancora. Questa lettera comincia con queste parole: ”Io sono il poliziotto che ha condotto suo fratello e sua sorella, in un riformatorio13…”.

     Hans Naumann racconta l’arresto di suo padre nel 1935: “Gli agenti della Gestapo hanno perquisito la casa per provare che fosse un Bibelforscher. L’ hanno portato via  e non l’ ho più rivisto durante i successivi 10 anni. Due anni più tardi io avevo 7 anni e la mia sorella Herta ne aveva 5, la Gestapo ci fece visita di nuovo. Questa volta si trattava  di un uomo e di una donna. Indicando col dito Herta e me, dissero: “Lei non è qualificata per educarli”. Eravamo dei delinquenti e ci condussero in un campo per bambini. Immaginatevi i sentimenti di una madre vedendoci portare via di forza dalla Gestapo! L’abbiamo rivista nel 1945. Herta ed io eravamo stati separati. Dopo un periodo in un campo di disciplina mi avevano mandato in una fattoria dell’Altmark nel 1943. Terminata la guerra, sono tornato a casa. Mia madre mi strinse tra le braccia per la prima volta dopo tanto tempo. Mio padre tornò dopo un po’. Aveva passato 10 anni in diversi campi, Buchenwald, Sachsenhausen ed altri14”.

     In Alsazia, regione diventata tedesca, Jeanne La uber, 10 anni non fa il saluto tedesco a scuola e si rifiuta di servire nella BDM. Per decisione del Tribunale di Mulhouse in data 7 giugno 1943 viene tolta al padre (sua madre era morta) ed inviata in un riformatorio a Lahr-Dinlingen nel Bade15. Sempre a Mulhouse, il giovane Luis Arzt rifiuta anche lui di fare il saluto e di dire Heil Hitler! in classe in data 6 febbraio 1943, il maestro scrive nella pagella che lo studente rifiuta il saluto tedesco. Rinnova la nota il 6 luglio 1943. Con i suoi due fratelli, Louis Arzt sarà tolto ai genitori e, per decisione del giudice, saranno inviati in Germania. Raggiungeranno una bambina di Mulhouse, il cui padre è s Dachau, Simone Arnold. Separati, verranno messi in quattro riformatori diversi. Louis Arzt ricorda che per sfiancarlo alternavano “il caldo ed il freddo”, la durezza e la dolcezza. “Un giorno mi picchiavano. Il giorno dopo lo stesso guardiano veniva e mi prendeva sulle sue ginocchia. Mi diceva: “Pensa a tua mamma. E’ sufficiente che tu dica Heil Hitler! E puoi ripartire. Era duro per un bambino di 12 anni16”.

      Erika Mann cita il caso di una famiglia testimone di Geova che viveva a Wandelberg in Slesia nel 1937. “I genitori in questione erano accusati di aver contaminato i loro figli con idee pacifiste prese a prestito dai quaccheri e di averli messi in guardia contro il regime nazista. Si obiettò al padre,  che affermava davanti al Tribunale di non aver in alcun modo influenzato i suoi figli, che, influenza o no, la sola atmosfera in simile focolare di testimoni di Geova rappresentava un veleno per i figli e che era impossibile vivere in tale atmosfera senza divenire nemici dello Stato. Il padre riconobbe di essere già stato  accusato e condannato per non aver mandato i suoi figli a qualsivoglia festa nazionalsocialista in onore della scuola. Assicurò che i figli  non avevano voluto andarci. Il Tribunale reputò la cosa possibile e la considerò come evidenza dell’effetto catastrofico dell’influenza dei genitori sui figli. In conclusione, il Tribunale formulò il seguente principio: “La legge al servizio della razza e della nazione, affida i figli ai genitori solo sotto certe condizioni: i figli devono essere educati in accordo con le prescrizioni della nazione e dello Stato. E’ soprattutto necessario insegnare in tempo adatto ai bambini che fanno parte anche loro di una nazione potente i cui membri sono inseparabilmente uniti tra loro grazie alle convinzioni che condividono in tutti i campi importanti. M chiunque intrattiene con i figli opinioni che possono metterli in contrasto con la comunità del popolo nazionale  ed ariano non ha soddisfatto le condizioni educative nei confronti di coloro che gli sono stati affidati per ragioni di salute pubblica, bisognerà toglierli il diritto di continuare ad educare i propri figli! In un simile caso solo la separazione totale dei figli e dei genitori può portare al successo”.

    Erika Mann così commenta questa decisione: “E’ così che si procedeva per togliere a questi sfortunati genitori i figli. E perché? Non perché si sarebbe potuto provare che avevano commesso un’infrazione alle leggi naziste; non perché i figli avrebbero potuto commettere un’infrazione di questo genere (che sarebbe stata d’altra parte attribuita  alla cattiva educazione fornita dai genitori); e non perché i figli avrebbero espresso opinioni che lasciassero supporre che un’influenza antinazionalsocialista regnasse all’interno della famiglia. Il Tribunale arrivò a pronunciare  questa terribile sentenza esclusivamente, e secondo le regole ammesse, perché presumeva che l’atmosfera all’interno di una famiglia di testimoni di Geova con idee pacifiste e raccomandatesi ai quaccheri dovesse obbligatoriamente corrompere i figli e metterli in guardia contro lo Stato. Il solo errore commesso, la loro assenza ad una festa nazista, errore punito e dimenticato da molto tempo, fu allegato per dimostrare che all’interno di tale famiglia realmente regnava tale corruzione: quindi gli tolsero i suoi figli. Se esaminiamo questo caso dal punto di vista dei nazisti, appare che si trattava di farne un esempio: Bisognava mettere in guardia in maniera draconiana, tutti i genitori tedeschi. E d’0ora in poi, che ha dei figli eviterà sicuramente la frequentazione dei testimoni di Geova ed allontanerà certamente dalla sua testa le idee “pacifiste17”.

    Non tutti i giudici agirono allo stesso modo. Alcuni emisero delle riserve e tentarono talvolta, anche con coraggio, di far prevalere il diritto sull’ideologia e sulle pratiche dell’intolleranza. Fu più facile nei casi in cui l’alunno, a motivo delle sue qualità, del suo lavoro e dei suoi risultati scolastici, dava al Tribunale una ragione per non acconsentire alla domanda di destituzione dell’autorità parentale inoltrata dall’ufficio della Gioventù. Nel caso qui di seguito riportato, la decisione del Tribunale amministrativo si destreggia tra la legge e la giurisprudenza, il parere del medico e la psicologia per difendere la bambina:

    Per quanto riguarda l’educazione sorvegliata di …, nata il …, a …, la richiesta dell’ufficio della Gioventù tendente a ordinare l’educazione sorvegliata a titolo temporaneo o definitivo è respinta.

Motivi

I genitori hanno fatto parte dell’Associazione degli Studenti Biblici. Il padre si trova dal 1927 in una casa di cura. La piccola ha frequentato la scuola per 7 anni. Sarebbe ora nel suo 8° anno scolastico della scuola primaria. Per ragioni religiose ha rifiutato di salutare dicendo “Heil Hitler!” e di alzare il braccio destro come esige il saluto tedesco. Ad eccezione di questo rifiuto categorico, la sua condotta in classe è eccellente. La sua intelligenza è al di sopra della media, ed è la prima della classe. Si distingue per il suo zelo, la sua attenzione e la sua applicazione. Dotata di un’immaginazione feconda, trova con facilità le parole adatte per dare colore ed arricchire con immagini la sua conversazione. La bambina è estremamente simpatica. Vestita con cura, dà l’impressione di essere una creatura calma e graziosa. Ciò nonostante, un’ordinanza del Ministro degli Affari Culturali vieta di tenere a scuola questi bambini, in grado di compromettere la disciplina scolastica e la comunità,quando rifiutano per ostinazione, come i loro genitori, di fare il saluto tedesco. Questo è il caso di … e di sua madre. Tutti gli sforzi, anche quelli del tribunale, per convincerla del carattere insensato e temerario del suo atteggiamento, ingiustificabile d’altra parte da qualche testo biblico che lei invoca, sono risultati completamente inefficaci. Il Ministro degli Affari Culturali ha ordinato di pronunciarsi, in casi simili, per l’educazione sorvegliata. Non sembra che fino a questo momento, che una giurisprudenza sia stata stabilita in un caso simile. Un commento di Blaumm, Riebzelle, Stork, alla legge sulla salute della Gioventù del Reich, 3^ edizione, dell’anno 1926, esprime alla fine dell’annotazione 4, l’idea che l’opinione religiosa o politica del padre non è motivo sufficiente per ordinare l’educazione sorvegliata. Frattanto questo punto di diritto è stato completamente modificato. Oggi all’unanimità dei suoi membri, il Tribunale si pronuncia: Il bambino che rifiuta di riconoscere lo Stato attuale al punto di rifiutare i segni esteriori di rispetto deve essere considerato disordinato, nonostante le sue qualità morali. Qualsiasi educazione capace di rafforzare un bambino in questo atteggiamento deve essere giudicata inammissibile. Rinviamo a questo proposito, al giudizio molto motivato, pronunciato dal Tribunale il 14/6/1937, che nella condanna …, ingiunse l’educazione sorvegliata del figlio di uno Studente Biblico, la cui moralità è irreprensibile. 

Il caso che ci preoccupa  è ciò nonostante eccezionale. Il Tribunale avendo esitato a ricorrere al riformatorio, ha ingiunto l’esame medico ed ha incaricato a tal fine il dr. …, medico del Tribunale. Rinviamo altrove per le conclusioni mediche; esse confermano l’impressione generale del Tribunale durante il lungo interrogatorio fatto subire alla bambina. Ci si trova in presenza di un caso straordinario di fanatismo religioso da parte di una bambina di 13 anni, superiore alla media da un punto di vista spirituale e morale. Non è da escludere, sebbene il fatto non possa essere ancora stabilito con certezza, che siano già presenti sintomi di affezione schizofrenica di origine religiosa.

Così come il Tribunale, anche il medico è convinto per quanto riguarda la piccola, che non si tratti di formule imparate a memoria ed invocate contro l’obbligo di fare il saluto tedesco, ma di una convinzione interiore solidamente ancorata. Facendo ciò, rimane nei limiti della buona educazione e della modestia e non diventa presuntuosa quando la si parla di questo argomento. La bambina dà semplicemente prova di una maturità di spirito che la colloca al di sopra della media dei suoi coetanei. Il medico preposto all’esame mentale pensa che forse sia possibile farla cambiare mettendo la bambina in una famiglia appropriata, ma ha delle riserve circa la sua opinione e rimane molto scettico.

D’altra parte il Tribunale è convinto che la bambina non potrà essere portata a modificare il suo atteggiamento con il riformatorio. Teme piuttosto che a causa di anomale disposizioni di …, una brusca separazione da sua madre potrebbe suscitare nella bambina una sorta di persecuzione capace di rinforzare le sue predisposizioni schizofreniche. Così che non è indicato né ammissibile concludere optando per il riformatorio, a causa della particolarità del soggetto in questione. Conformemente all’articolo 62, verso 2, della legge sulla salute della Gioventù, il riformatorio non deve essere ordinato se non offre alcuna probabilità di successo.

 

     Nel 1940, dopo la vittoria dei suoi eserciti, Hitler fa valere le sue mire egemoniche sull’Alsazia e su una parte della Lorena, la Mosella. Dopo il 2° Reich, queste regioni conosceranno il 3° Reich, le leggi tedesche regoleranno queste province francesi. I figli di testimoni di Geova si troveranno di fronte alle medesime difficoltà di quelli tedeschi. A Mulhouse, la giovane Simone Arnold ha visto suo padre essere arrestato e portato via dalla Gestapo. Internato a Schirmek in un primo tempo, viene inviato a Dachau e, più tardi, a Mauthausen. Sua madre sarà rinchiusa a Schirmek, poi a Gaggenau in Germania. Nel periodo che intercorre tra i due arresti dei suoi genitori, Simone sarà tolta a sua madre per decisione del Tribunale ed inviata in Germania. Simone Arnold così racconta questo episodio della sua vita.

“Frequentavo la scuola e non avevo ancora 12 anni quando fui colta ‘in flagranza di reato ’di insubordinazione. Ero rimasta in piedi con le braccia lungo il corpo mentre avrei dovuto fare il saluto hitleriano. Il “caso” giunse all’attenzione del rettore che mi ha dato una settimana di riflessione. Durante questa settimana dovetti andare in tutte le classi per leggere una circolare che annunciava l’espulsione di un’alunna (che ero io) nel caso in cui non avesse “messo la testa a posto”. Al termine della settimana, il rettore venne nella mia classe e fece un discorso sulla libertà di scegliere. Un silenzio di piombo era calato su tutta la classe quando il rettore disse: “L’alunno che si riconosce si alzi e salga sulla pedana, o per salutare Hitler o per prendere il suo atto di espulsione!”. Tremante, ma con un cuore fermo ed una convinzione profonda, mi alzai con lo stupore di tutti. Nessuno si aspettava che fossi io, proprio io, “la ribelle” l’insubordinata, la cancrena, il veleno. Con il cuore che batteva forte, salii i gradini della pedana. Il rettore si alzò dal suo posto e mi disse che mi accordava 5 minuti de là sotto l’effige di Hitler, davanti a 48 allievi, il rettore orologio alla mano, contò 5 lunghi minuti. L’atmosfera divenne soffocante, schiacciante. Il silenzio fu improvvisamente rotto da un trascinante Heil hitler! Pronunciato dal rettore, subito seguito dal maestro e dagli alunni ora sull’attenti. Nella mia testa e nel mio cuore un solo pensiero: Prendi l’atto di espulsione e parti” e fu ciò che feci.

     Dovetti tornare alla scuola comunale. Ehrlich, il direttore, fece uno scandalo enorme. Obbligato dalla legge ad accettarmi, mi impose la seguente condizione: “Che nessuno sappia perché sei stata trasferita dalla scuola che frequentavi prima; ti proibisco di parlare ad altri bambini”. Poi diede l’ordine alla maestra, la signora Lorentz di posizionarmi in fondo alla classe e di ‘dimenticarsi’ di me. Quest’ordine divenne per me una prova terribile, giorno dopo giorno gli alunni mi prendevano in giro: la mia espulsione dalla scuola precedente, secondo loro, era motivata, dalla disonestà oppure allora ero una scaldabanchi. Ero senza difesa e muta, cosa che aggravava l’ostilità, gli scherni camminavano di buon passo.

 In questa scuola bisognava portare ogni settimana un chilo di ferri vecchi, stracci, vecchie carte, ecc. per sostenere la guerra. Ogni alunno aveva un taccuino ad hoc. Non ho mai partecipato ad una simile raccolta. Un’alunna. Geneviéve Schmerber, se n’è resa conto, cosa che mi spinse a spiegarle la mia posizione, che lei a sua volta adottò. Apparentemente non vi alcuna reazione da parte del direttore, tuttavia …

    Una prima convocazione mi portò da due psichiatri SS. Il colloquio aveva luogo in una stanza resa bianca dalla calce, con una sedia al centro e una scrivania in un angolo. Accesero un proiettore puntandomelo contro il viso, poi l’interrogatorio ebbe inizio. Primo psichiatra:”Fammi l’elenco dei fiumi d’Europa in ordine secondo la lunghezza!” Contemporaneamente l’altro diceva: “Dove viene stampata la Torre di guardia?” Primo psichiatra: “Le capitali, fammi i nomi!”. Secondo psichiatra: “Dove vi riunite?”. E così via, per più di un’ora. La seduta fu interrotta da una telefonata proprio mentre stavo per svenire.

     Poco tempo dopo, il Tribunale di Mulhouse dovette pronunciarsi sul mio caso. Avevo 12 anni quando mi presentai davanti al giudice. Quest’ultimo mi tenne un discorso sull’educazione gratuita, una bella carriera riservata a tutti coloro che collaboravano, la libertà offerta dalle autorità se avessi firmato il documento di abiura messo a disposizione dei testimoni di Geova. In caso contrario ci sarebbe stato il riformatorio, seguito dal campo di concentramento. Mi erano stati messi davanti due fogli. Solo la mia “libera” scelta avrebbe deciso la mia sorte. Firmai il secondo foglio, cosa che suscitò terribili insulti. Al contrario, al mio arrivo a scuola, ci fu la calma… prima della tempesta. La mia classe di 45 alunni, era stata selezionata per recarsi per una settimana ad un campo della Gioventù hitleriana. Ogni bambino doveva versare 50 pfenning (mezzo marco) ogni settimana per parecchie settimane. La mia mancata partecipazione sembrava passare inosservata. Per non rendere responsabile la mamma di questa cosa, non l’avevo mai messa al corrente, addossandomi da sola la responsabilità. Quando arrivò il giorno dei conti, ci fu il dramma. Esposta davanti a tutta la classe come una ribelle, mi si mise di fronte la scelta seguente: o andavo a raggiungere la classe che prendeva il treno martedì mattina o mi presentavo all’ufficio del direttore alle otto, se no la polizia sarebbe venuta a cercarmi. I miei compagni mi ingiungevano di raggiungerli, ma il coraggio prevalse sul timore. Timidamente, bussai alla porta del direttore che, visibilmente, non pensava di vedermi. Illividì, poi la sua nuca arrossì; mi agguantò e mi fece prendere posto nella sua classe in prima fila. Urlò l’ordine di alzarsi e di sedersi ad un ritmo sfrenato. Dopo un’ora la classe era ansimante. Ordinò a ciascuno alunno di salire sulla pedana per ritirare il proprio taccuino, con esso lo colpiva sulle guance e lo lanciava nell’aula puntando la mano sinistra su di me, che ero grande, seduta in prima fila in mezzo a quegli alunni di 9 anni e urlava: “E’ per colpa di quest’essere pidocchioso”. Voleva aizzare la classe contro di me, ma non ci riuscì. All’uscita da scuola alcuni vennero a dirmi di tenere duro! Il direttore mi spedì sotto la tettoia del cortile della scuola per fare una cernita nel capanno dove era stato depositato il prodotto ella raccolta obbligatoria. Venne ad ispezionare il lavoro e mi trovò davanti ai sacchi vuoti. La sua reazione fu così violenta che con la mano di profilo. Mi assestò un colpo sulla mia nuca, un po’ come si accoppa un coniglio e mi gettò in questo mucchio di immondizie, di vecchie carte, scatole di sardine, ossa puzzolenti, pieno di pidocchi e vermi, dove rimasi fino all’uscita delle classi. I giovani mi aiutarono a tornare a casa. Là, ebbi un’emorragia uterina. Il medico consultato, mi firmò una sospensione scolastica che fu depositata a scuola; era un sabato. Il martedì, venne un poliziotto ad avvertirci che bisognava che io facessi immediatamente ritorno a scuola, essendo stato rifiutato il mio certificato medico, e consegnò alla mamma un verbale di 100 marchi per avermi sottratto alla scuola.

     Tornai nella mia classe che era tornata dal campo della gioventù. Con mia sorpresa, fui trattata come un’appestata. L’atmosfera era cambiata completamente, tutti mi evitavano. Poi, l’indomani fu l’ultimo giorno di scuola. Il direttore aveva organizzato un raduno  generale di tutte le classi, maschi e femmine: 16 classi di circa 45 alunni ciascuna. Nel cortile della scuola, un albero eretto; attorno il quadrato degli alunni, i piccoli davanti, i grandi dietro, al lato dell’albero, un ragazzo giovane con divisa hitleriana e bandiera, il direttore, M. Erlich, con tutto il corpo docente ai suoi lati. Mi cercarono e mi posizionarono davanti, ben in vista. Poi il direttore prese la parola. Con voce stridente e martellante, mise in evidenza la gloria della Germania e la forza del Fuhrer con il motto Arbeit macht frei  (il lavoro rende liberi).  Non sapevo a quel tempo che quello fosse il motto dei campi di concentramento. Allora usò un tono grave, spiegando che non si poteva nuotare contro corrente, e che chiunque non si fosse piegato sarebbe stato fatto a pezzi. Tra poco gli alunni avrebbero avuto un esempio vivente dell’applicazione di questo principio. Ne conseguì la cerimonia della bandiera con il triplo Heil Hitler! Sola, e in mezzo a tutti, con le braccia lungo il corpo, pregavo Dio per non cedere e per non remare. Mi aspettavo pesanti sevizie. Non successe nulla, a parte il gran vuoto che si creò attorno a me. Abbandonata, messa all’indice, disapprovata, camminai verso casa domandandomi: “Che significa tutto ciò?” Ben presto ebbi la risposta. Aprendo la porta dell’appartamento, vidi nel mio letto le mie cose accatastate, una valigia aperta. Entrai nella mia camera e trovai sul tavolino, ben in evidenza, la terza convocazione. La mamma si avvicinò piano e mi strinse tra le braccia, dicendomi a bassa voce: “Partirai domani mattina per il riformatorio. Prendila come un addestramento, come se tu andassi alla scuola media. Alla tua età molti ragazzi vanno al convitto”. Il 9 giugno 1943, alle otto del mattino, due assistenti sociali ci aspettavano alla stazione di Mulhouse; destinazione: Costanza. La mamma approfittò di queste ultime ore per ripetermi degli insegnamenti fondamentali. Insistette molto sulla necessità di essere esemplare nella condotta: “Sii onesta, rispettosa, sottomessa, lavoratrice, educata come si addice ad una cristiana. Che non si possa mai accusarti di pigrizia, di insolenza e di mancanza di rispetto. Non mettere mai il broncio, non replicare mai”. Mi mostrò anche la necessità di capire bene  la differenza tra un atteggiamento fermo ed un atteggiamento di ribellione. Dovevo essere sottomessa in ogni cosa, se le cose richieste non infrangevano la legge di Dio. “Ricordati di Giuseppe”, mi diceva, “che imprigionato ingiustamente fu preso in considerazione a motivo del suo comportamento”. Attraverso le raccomandazioni fatte in occasione di “quest’ultimo viaggio”, la mamma seppe far mettere radici nel mio cuore e dei pensieri di una tale portata che mi sarebbero serviti al di là del mio internamento. Ancora oggi sento dentro di me la sua voce piena di calore ma ferma, che mi supplicava di preservare in me il “giusto valore delle cose”.

    Costanza. Via Schwedenschanze 10. Una splendida costruzione ricoperta da vite del Canada, un magnifico giardino con dei roseti tagliati a ghirlanda, un cartello:  Wessenbergische Erziehhungsanstalt fur Madchen (Istituto Wessenberg di educazione per ragazze). Aprì la porta una donna di una certa età, con i capelli bianchi raccolti, gli occhi blu d’acciaio, il viso severo. Quando vide la mamma nel parco, la invitò a salire dicendo: “Ho sempre avuto rispetto delle madri che hanno il coraggio di accompagnare i loro figli”. Chiamò una ragazza, mi presentò, le diede ordini a proposito della mia persona e, prima che avessi avuto il tempo di accorgermi, la porta si era chiusa senza aver potuto abbracciare mia madre per l’ultima volta. La ragazza mi mostrò il mio letto di ferro e come materasso, un sacco di crusca ricoperto da un lenzuolo. La sveglia era alle 5,30. I dodici lavandini erano dotati esclusivamente di acqua fredda. La colazione, un piatto di zuppa, veniva servita alle 8, dopo che tutta la casa era stata pulita. Mi diedero un vestito-grembiule e mi tolsero le scarpe. Dal 1° maggio al 1° novembre camminavamo a piedi nudi. Ricevetti un numero e un altro nome: Maria. Suonò una campanella: l’ora del primo pasto, patate in acqua con rape rosse. Mi sembrava impossibile ingoiare quel cibo. Dopo il pasto dovevamo ritrovarci tutte in fila nell’atrio per ricevere la nostra assegnazione di lavoro: “Niente da mangiare questa sera se il lavoro non è finito o fatto male”. Improvvisamente e per la prima volta in tutti quegli anni, mi misi a piangere. I Miei singhiozzi interrompevano il silenzio di piombo di quella sala dove lavoravamo una ventina di ragazze. Smisi di piangere il mattino seguente all’alba, quando la stanchezza, mi trascinò a dormire qualche ora.

     Il mio primo lavoro di casa era la pulizia dei bagni delle sorveglianti. Poi, dopo un mese , mi aggiunsero la manutenzione della camera della signorina Messinger. Bisognava scivolare bocconi tutti i giorni sotto il letto per spolverare le molle! E proprio là, sotto il letto, nelle molle che potei posizionare una piccola Bibbia che avevo introdotto di nascosto. Tutti i giorni potevo leggermela. Di sera, tutti i bambini si riunivano nell’immenso ingresso, dove una delle maestre recitava il Padre Nostro, seguito dalla preghiera per la Germania: “Dio benedici il nostro Fuhrer, i nostri eserciti e la nostra Patria….” Fortunatamente il saluto a Hitler non era richiesto dal momento che eravamo lo scarto della società. Il lavoro fu talvolta faticoso. Mi ricordo di aver segato dei tronchi di alberi di 80 centimetri. Bisognava anche sradicare i ceppi, zappare la terra e liberarla dalle radici. Certamente così l’inverno era meno freddo. Ma questo lavoro titanico mi spossava tanto che la sera mi accasciavo sul letto.

    Alla fine del terzo mese senza visite, senza corrispondenza, la signorina Messinger mi accompagnò al Tribunale di Costanza. Stessa cornice, stesso discorso che a Mulhouse. Si trattava di constatare se “l’indottrinamento dei miei genitori era ancora presente”. Sul mio primo atto di condanna si diceva che ero “un pericolo pubblico per i miei coetanei”. La separazione, l’isolamento, la durezza dell’educazione, le lunghe ed interminabili ore di lavoro, avrebbero avuto ragione della mia “ostinazione”? Dopo un discorso fiume, il giudice mi mise davanti ad un tavolino: là vi erano le due famose dichiarazioni, la stessa libera scelta di Mulhouse dell’inizio dell’anno 1943! Presi il foglio che stabiliva che dopo il riformatorio ci sarebbe stato il campo di concentramento ed andai a firmarlo su di un altro tavolo. Il giudice, rimasto calmo fino a quel momento, si infuriò dandomi della furba, scaltra ed irrecuperabile. In questa occasione seppi che la mamma era anche lei in prigione…”.

     Primavera 1945. Emma Arnold, liberata nel tragitto da Gaggenau a Ravensbruck, viene a cercare sua figlia a Costanza.

“Le sirene urlavano. Tutti i bambini dell’istituto si precipitarono in cantina con le maschere a gas sul collo. Ben presto si udì il rombo degli aerei passare sopra la nostra testa. Improvvisamente la signorina Messinger si trovò davanti a me: “Maria c’è tua madre!” Mi trovai di fronte una donna emaciata, dal volto tumefatto, sfigurata e vestita di stracci. Era davvero lei, mia madre, così civettuola, così bella, con la sua carnagione di porcellana, i suoi capelli neri come il carbone e di suoi occhi luminosi e blu, come il non-ti-scordar-di-me. Non la riconobbi. Improvvisamente fui colta da violenti tremori, le lacrime sgorgarono e sembrava che tutte quelle che avevo trattenuto si versassero, si spargessero. Non potei fermarmi sino a quando fummo da sole e potei rannicchiarmi nelle sue braccia”.

    Il racconto di Simone Arnold permette di capire come dei bambini sottoposti a forti pressioni a scuola, tolti ai loro genitori e messi in riformatorio, hanno vinto questa situazione.

   L’uomo è un essere sociale. Il rigetto sociale è difficile da vivere anche per gli adulti consolidati. I bambini sono ancora più sensibili. Sentirsi rigettati dagli altri, a scuola o nel gioco, talvolta va al di là delle loro forze morali. Non stupisce dunque il fatto, che altri bambini abbiano reagito diversamente. “I commenti di un anziano testimone di Geova illustrano le prove attraversate da questo gruppo”, riferisce Claudia Koonz. Elisabeth do Pazo, nata in una famiglia di testimoni di Geova, liceale nel 1933, racconta che, brutalmente, tutto quello che la sua famiglia faceva divenne illegale: “Il diritto di recarsi in bicicletta nelle fattorie vicine. Il diritto di far visita ad altri testimoni di Geova. Il diritto di parlare ai bambini delle altre famiglie antinaziste Da un giorno all’altro, tutto ciò che si faceva divenne carico di conseguenze”. Ma i suoi genitori ed amici non vi prestarono e proseguirono nelle loro attività. “Era il nostro modo di vivere. Papà non l’avrebbe cambiato per nessun motivo: ‘Noi viviamo per i nostri principi. Abbiamo già giurato fedeltà a Dio, non possiamo giurare fedeltà ad un mortale e sicuramente non ad uno come Hitler. Non rendiamo omaggio a nessuna bandiera. Siamo dei cristiani pacifici. La cosa principale è soddisfare Geova, nostro Dio. Non ci riguarda quello che pensa la gente. Attraverso il nostro esempio potrete forse persuadere a non nuocere ad altri esseri umani”.

    Elisabeth do Pazo confessa che l’intransigenza religiosa dei suoi genitori rese difficile la sua infanzia: “Riuscite ad immaginarvi cosa significhi crescere senza amici ?” I suoi genitori le proibivano di giocare con i bambini di altre famiglie non naziste, perché la loro frequentazione rischiava di peggiorare la loro reputazione già compromessa. “Allora si poteva giocare soltanto con i figli di genitori nazisti al di sopra di ogni sospetto!”  Poi Hitler annunciò la proscrizione: non c’era scelta. O eravate con Hitler o eravate contro di lui. Nel 1936 il papà di Elisabeth fu inviato in un campo di concentramento: “Avevo uno zio nelle SS, un tipo spassoso, molto gioviale, collezionista di francobolli, molto interessante… Ha messo la sua uniforme per chiedere al comandante di rilasciare mio padre: “E’ il fratello di mia moglie. Voglio che venga liberato. Il comandante era d’accordo: “Certamente lo avrete subito. Lo ha portato in ufficio, già in abiti civili… Ma mio padre ha rifiutato di firmare le carte sulle quali si voleva far dire che rinnegava la sua fede ed ammetteva i propri errori… Ha detto solo:”Auf Wiedersenhen per l’ultima volta ed è ritornato nel campo. Non lo abbiamo più rivisto”.  Do Pozo, prosegue: “Credete che si fosse stranamente fieri di nostro padre, perché aveva resistito nonostante le pressioni? Non era così.

Ci veniva detto che il papà avrebbe dovuto firmare per restare con noi, che avrebbe dovuto pensare a se stesso e mamma… I nostri professori dicevano: “Vostro padre era un vigliacco…” Noi ci sentivamo scoppiare dentro, ma non potevamo dire nulla… La mamma ci ha detto: “La cosa importante è che Geova sappia che non era un vigliacco”.

    Poi Elisabeth si ribellò. Aderì alla BDM, perché i nazisti minacciavano di gravi conseguenze le famiglie i cui figli non aderivano: “Mia nonna piangeva e mi domandava come  avessi potuto fare una cosa simile dopo che i miei genitori si erano mostrati così coraggiosi. Le dissi: “Ascolta io non credo… non posso credere in un Dio simile che permette che vengano fatte certe cose. O si presume che sia un Dio d’amore. Non voglio questa religione…” “Non volevo vedere la Bibbia… “ Mi sono trovata in uniforme e vi sono entrata [nella BDM] senza voltarmi”. A quindici anni, Elisabeth scopriva finalmente l’amicizia, faceva delle escursioni in campagna, partecipava alle opere di beneficenza, aiutava nelle fattorie e cantava nel coro della BDM. “Eravamo solo dei ragazzi. Ce ne infischiavamo del lato nazista della cosa”.

    Dopo qualche mese le fu proposto di diventare sorvegliante. Fu troppo:”Ho fatto cilecca all’esame perché non mi interessava sapere dove erano nati Hitler, Goering e cose del genere. Ciò mi ha liberata” Ma fu necessario attendere la fine della guerra perché Elisabeth, così come i suoi fratelli e le sue sorelle comprendessero finalmente il loro padre: “Passata l’adolescenza, abbiamo finalmente realizzato che era stato più che coraggioso”, dice (lei) piano. Dopo il 1945 lasciò la Germania per sempre e si insediò nel Massachussetts. Sebbene Elisabeth do Pazo non abbia mai ritrovato la fede, persegue la tradizione di suo padre, partecipando attivamente alle lotte antirazzismo e per i diritti dell’uomo.

      … Per chiudere questo capitolo, citeremo Kogon. Riferendosi ai Testimoni di Geova scrive: “Fare a pezzi quelle famiglie, togliere i figli ai genitori nei campi maschili e femminili  fu una delle vergogne del nazismo”. 

 

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