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Colpevoli di Schiavismo, complici di Hitler. Le chiese cristiane al tempo del nazismo.

La deportazione nazista dei bibelforscher Il martirio dei Testimoni di Geova


'Fonte Adista. http://www.adista.it/numeri/adista00/adista57.htm#t1

COLPEVOLI DI SCHIAVISMO, COMPLICI DI HITLER:
 LE CHIESE CRISTIANE AL TEMPO DEL NAZISMO

30474. BERLINO-ADISTA. La Chiesa cattolica tedesca e quella protestante, durante il regime nazista, utilizzarono il lavoro dei cosiddetti "schiavi del Terzo Reich", i prigionieri deportati dalle SS e detenuti in condizioni disumane. Lo hanno rivelato in questi giorni i quotidiani tedeschi "Tagesspiegel" e "Suddeutsche Zeitung", affermando che durante la seconda guerra mondiale, nel monastero di Ettal, in alta Baviera, la Chiesa cattolica utilizzò 39 deportati sovietici, polacchi e francesi per sostituire, nei lavori manuali, i preti partiti per il fronte ed i molti dipendenti laici del monastero che lavoravano nella Wehrmacht.

Mentre la Chiesa luterana ha espresso immediata disponibilità a fare i conti con le proprie responsabilità, contribuendo finanziariamente al fondo per il risarcimento degli schiavi del nazismo - nato grazie ad un recente accordo tra governo tedesco, aziende nazionali del calibro della Siemens, Daimler Chrysler e Deutsche Bank, amministrazione Usa, Israele e gli avvocati degli ex detenuti ancora viventi - non si hanno ancora segnali di alcun tipo da parte della Chiesa cattolica.

Questo silenzio ha indotto la portavoce dei Verdi per i rapporti tra Chiesa e politica, Christa Nickels, a scrivere un appello al presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Karl Lehmann, in cui chiede che, "per motivi umanitari e morali", la Chiesa partecipi al fondo per il risarcimento. "Da questa vicenda - ha detto al "Tagesspiegel" - i cattolici non devono restar fuori". Nella lettera la Nickels invita Lehmann a confrontarsi su questo tema: "Trovo doloroso il silenzio che c'è stato finora - afferma - ed alcune osservazioni sono state penose".

Nel frattempo, nel fondo per il risarcimento sono già confluiti circa 3,2 miliardi di marchi, a fronte dei 10 stabiliti come obiettivo (circa 10.000 miliardi di lire). Molti parlamentari e politici hanno immediatamente aderito all'appello dello scrittore Günter Grass, che ha chiesto ad ogni tedesco un contributo di 20 marchi. Secondo Otto Graf Lambsdorff, delegato del governo per il risarcimento dei forzati, la proposta di Grass è "adatta" a rendere più forte il senso di responsabilità generale del popolo tedesco. Un gesto giudicato di grande valore morale dal direttore del Centro per la ricerca sull'antisemitismo dell'Università Tecnica di Berlino Wolfgang Benz, destinato, tuttavia, a cadere nel vuoto: "Nessuno si sente toccato", spiega in un'intervista rilasciata il 13/7 al "Tagesspiegel". "Ogni tedesco adulto, anche il diciannovenne, si domanda che cosa ha a che fare con quello che i suoi nonni hanno vissuto all'epoca dei lavoratori forzati". Si tratta insomma di qualcosa "difficilmente traducibile in pratica se non addirittura controproducente, perché la maggioranza si sente importunata".

Resta l'attesa per un impegno finanziario da parte della Chiesa cattolica. Secondo quanto riporta la "Suddeutsche Zeitung" (21/7), il portavoce della Conferenza episcopale, Rudolf Hammerschmidt, i vescovi prenderanno in esame l'ipotesi di partecipare al risarcimento nel corso della loro prossima riunione, che avrà luogo alla fine di agosto.

La deportazione nazista dei bibelforscher
Il martirio dei Testimoni di Geova

di Alberto Bertone

Fonte Azionenonviolenta http://www.nonviolenti.org/2000/mar2000.html#a5

In lingua tedesca “bibelforscher” significa “studiosi della Bibbia”. “Studenti Biblici Internazionali” era il nome ufficiale di un movimento religioso sorto negli Stati Uniti nell’ultimo trentennio dell’Ottocento. La denominazione di quel movimento fu cambiata nel 1931 in “Testimoni di Geova”. I bibelforscher di cui parleremo altri non sono quindi che i testimoni di Geova degli anni Trenta e Quaranta, secondo l’appellativo con il quale erano noti nei Paesi di lingua tedesca. I bibelforscher furono duramente perseguitati dal nazi-fascismo. Rispetto a quella di altri religiosi presenti nei lager, la loro esperienza fu caratterizzata da aspetti singolari, ancor oggi poco noti agli studiosi e al pubblico in generale.
Gli Studenti Biblici Internazionali si affacciarono sulla scena italiana agli inizi del Novecento. Nel 1903 sorse in provincia di Torino, a San Germano Chisone, nelle valli valdesi, la prima comunità. Fino al 1938 fu diretta da Remigio Cuminetti, che nel 1915 aveva vissuto le vicissitudini di obiettore di coscienza durante la prima guerra mondiale1.
Nel 1919 a Pinerolo fu aperto un ufficio per coordinare l’attività di evangelizzazione. Lì, nel 1923, gli Studenti Biblici tennero la prima assemblea in Italia, durante un banchetto nuziale per eludere la sorveglianza fascista.
Dall’esame di cinque circolari diramate dal Ministero dell’Interno nel periodo 1929-1940, contenute nei fascicoli relativi ai testimoni di Geova depositati presso l’Archivio Centrale di Stato a Roma, è evidente che questi ultimi furono uno dei principali obiettivi della discriminazione religiosa fascista. Secondo lo storico Giorgio Rochat, fra il 1927 e il 1943 in un elenco di centoquarantadue persone arrestate e confinate per motivi religiosi, ottantadue erano testimoni di Geova2. Fra loro c’erano Guido Costantini e Francesco Liberatore, condannati nel 1940 per il rifiuto di partecipare ai corsi premilitari3. Nicola De Felice fu condannato nel 1943 a due anni di reclusione dal Tribunale Militare territoriale di Bologna per “disobbedienza continuata” ad indossare l’uniforme4.
Nel 1940 ventisei testimoni furono condannati dal Tribunale Speciale fascista a quasi centonovantanni complessivi di carcere per aver diffuso, letto e commentato pubblicazioni bibliche che, secondo gli inquirenti, offendevano la dignità del duce, del re, del papa e di Hitler5.
Numerosi furono i confinati, fra i quali Aldo Fornerono di Prarostino e Domenico Giorgini di Teramo, che scontò la pena nell’isola di Ventotene in compagnia di Sandro Pertini.
Due furono i casi di deportazione. Salvatore Doria era stato condannato ad undici anni di reclusione dal Tribunale Speciale. Prima venne detenuto nel carcere di Sulmona e poi fu deportato a Dachau e infine a Mauthausen. Liberato dagli Alleati nel 1945, fece ritorno in Italia ove morì nel 1951, a soli quarantatre anni, menomato nel fisico e nello spirito. Narciso Riet, nato in Germania da genitori italiani, braccato dai nazi-fascisti perché impegnato a introdurre clandestinamente pubblicazioni bibliche nei lager, fu arrestato nel 1943 a Cernobbio e deportato a Dachau. Dopo essere stato sottoposto a torture atroci, fu infine soppresso prima della liberazione dei campi. Le sue spoglie non sono mai state ritrovate6.
I relativamente pochi casi di arresto e di deportazione che videro per protagonisti gli Studenti Biblici durante il ventennio fascista in Italia si spiegano con la scarsa presenza degli stessi: duecento, duecentocinquanta secondo Giorgio Rochat; cento, centocinquanta secondo i dati rilevabili dalla letteratura dei testimoni di Geova7. Nella Germania nazista le cose andarono diversamente. Alla salita di Hitler al potere i bibelforscher erano oltre diciannovemila. Immediatamente scattarono le misure repressive nei loro confronti. Il 24 luglio 1933 l’Associazione dei Bibelforscher fu dichiarata fuorilegge in tutta la Germania. Gradualmente diecimila testimoni furono internati nei campi; duecentotre furono le condanne a morte eseguite; seicentotrantacinque i testimoni che morirono di patimenti; ottocentosessanta le famiglie distrutte con la prigionia dei genitori e la scomparsa dei figli.
Le motivazioni della repressione? Ha scritto Bruno Segre: “Per i nazisti, i testimoni incarnavano tutto ciò che essi odiavano: il Movimento era internazionale, influenzato dall’ebraismo attraverso l’utilizzazione dell’Antico Testamento e la sua escatologia; predicava il comandamento che ordinava di Non uccidere e quindi rifiutava il servizio militare. (...) Il 12 novembre 1933, in nome della neutralità cristiana, i Testimoni di Geova non si recarono ai seggi per le elezioni del Reichstag. (...) Rifiutavano il saluto hitleriano e il saluto alla bandiera nazista”8.
I lager in cui i testimoni di Geova vennero internati furono quelli di Dachau, Sachsenhausen, Buchenwald per i maschi e di Moringen e Ravensbrück per le donne. Lì subirono torture indicibili. Buona parte dei condannati a morte per il rifiuto del servizio militare furono decapitati con l’ascia, poiché i nazisti ritenevano che la fucilazione fosse una condanna troppo mite. Come affermò il Tribunale Internazionale di Norimberga, “le persecuzioni di tutte le sette pacifiste dissidenti come quelle dei testimoni di Geova e dei Pentecostali erano particolarmente accanite e crudeli”.
I testimoni di Geova furono tra i primi a denunciare la barbarie nazista: essendo i primi ad essere internati, disponevano di notizie di prima mano sulle reali condizioni esistenti nei campi di concentramento. Attraverso le riviste “The Golden Age” e “Consolation” (ora “Svegliatevi!”) fin dal 1933 parlarono di oppositori politici rinchiusi dietro il filo spinato dei campi di concentramento (16 agosto 1933); di gas impiegato in via sperimentale a Dachau (15 dicembre 1937); di quarantamila innocenti arrestati un solo colpo (3 maggio 1939); di campi di concentramento per le donne (28 luglio 1939); di sessantamila ebrei polacchi sterminati nei campi (12 giugno 1940); di greci, polacchi e serbi sistematicamente sterminati (27 ottobre 1943).
Nei campi di sterminio furono il solo gruppo religioso a ricevere un contrassegno d’identificazione: un triangolo viola cucito sulla casacca (il rosso era per i politici, il giallo per gli ebrei, il rosa per gli omosessuali, il bruno per gli zingari, il nero per gli “asociali”).
Margarete Buber-Neumann, giornalista e scrittrice internata a Buchenwald, fu, suo malgrado, capo del blocco numero tre occupato dalle testimoni9 e a suo rischio si adoperò per rendere meno gravosa la loro detenzione. Lo stesso fece la signora Maria Ruhnau, testimone internata a Buchenwald, che assistette fino alla morte la sua compagna di prigionia, la principessa Mafalda di Savoia10. Rudolf Höss, il sanguinario comandante di Auschwitz, condannò a morte pubblicamente diversi testimoni perché colpevoli di non volere prestare servizio militare e di non “compiere qualunque cosa avesse il minimo rapporto con le faccende militari”11.
L’esperienza dei bibelforscher nei campi di sterminio fu singolare sotto diversi aspetti. Anzitutto l’azione del nazismo che li condusse alla deportazione fu contro tutta la collettività dei testimoni e non contro qualche religioso particolarmente attivo e inviso al regime. Gli internati potevano sfuggire alla loro sorte semplicemente firmando una dichiarazione di abiura alla fede, che quasi nessuno firmò. Non erano internati per una opposizione politica al regime, ma per il rifiuto di dichiarare fedeltà o anche solo di collaborare con il regime. I bibelforscher non rifiutavano solo il diretto servizio militare, ma anche tute le attività indotte: dal costruire un deposito di munizioni al cucire le stellette su un’uniforme. Ben aveva interpretato il loro atteggiamento Pasquale Andriani, ispettore generale dell’O.V.R.A., il quale, in un rapporto datato 3 gennaio 1940 scrisse: “Il comandamento di Dio di non uccidere e di amare il prossimo come se stessi va interpretato [dai testimoni di Geova] nel senso più restrittivo e letterale; quindi nessun testimone di Geova, per qualsiasi motivo, può impugnare le armi contro il prossimo”.


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